Siamo geneticamente predisposti a ricordare le esperienze dolorose?

Da recenti studi è emerso che gli esseri umani si sono evoluti per notare e ricordare più vividamente le esperienze negative di quelle positive (Lambert, 2007). Secondo la psicologa evoluzionista della Harvard Medical School Nancy Etcoff, ciò ha una sua utilità per la sopravvivenza. La ricerca dimostra, ed esempio, che le nostre papille gustative rispondono più fortemente ai sapori amari che a quelli dolci. Questa caratteristica potrebbe essersi evoluta per proteggerci dai veleni, cosa molto più importante rispetto al potersi gustare appieno il sapore di un frutto. Poiché ci siamo evoluti in un mondo pieno di pericoli immediati (serpenti, tigri, precipizi, piante velenose, ecc.) non c’è da meravigliarsi se siamo più portati a ricordare e a imparare dalle esperienze negative che non da quelle positive. Perdere l’opportunità di gustare un boccone prelibato o di un incontro sessuale probabilmente non interromperà la trasmissione del nostro DNA, ma trascurare una tigre o un dirupo sicuramente sì!

Tutto ciò ovviamente non aiuta il nostro umore. Poiché tendiamo a ricordare le esperienze dolorose, abbiamo anche la tendenza ad aspettarcele dal futuro. Tutti i ricordi spiacevoli, i pensieri apprensivi e le conclusioni pessimistiche sono associati a un po’ di dolore psicologico, anche quando non c’è nulla che stia andando effettivamente male.

Inoltre, molti di noi rincarano la dose di sofferenza affermando che, se siamo insoddisfatti, la colpa è solo nostra, perché abbiamo preso decisioni sbagliate o perché c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato in noi. Chi non ha mai fatto un pensiero del tipo: “Se solo non avessi scelto la carriera, il compagno/coniuge, la dieta sbagliata, ecc., allora sì che sarei felice adesso!”. Ma siete sicuri che sareste riusciti ad essere veramente felici se aveste fatto quelle scelte diverse?

In alternativa al pensiero di poter aver preso scelte sbagliate, può esservi quella di avere fatto scelte giuste e di essere, nonostante ciò, ancora infelici. Questo pensiero ha un effetto ancora peggiore poiché viene interpretato come un’evitabile nostra mancanza (“Se ho preso scelte giuste e continua ad esserci qualcosa che non va vuol dire che sono io quello sbagliato!”).

In un caso o nell’altro, ci ritroviamo a darci delle colpe invece di renderci conto che la maggior parte della sofferenza umana deriva dalla storia evolutiva, dal corredo biologico e dalle molteplici difficoltà del vivere. Pensare che la sofferenza ha origine da nostri fallimenti personali piuttosto che da certe abitudini mentali universali, ci fa stare ancora più male.

Infine, l’idea che se soffriamo è per colpa nostra ci trattiene anche dal parlarne con altre persone. Temiamo che, ammettendo che la nostra vita sia difficile, gli altri si facciano un’opinione peggiore di noi, e ovviamente nessuno vuole essere considerato un “perdente” o un rompiscatole. Questo ci porta a minimizzare costantemente le nostre sofferenze quando parliamo con gli altri e ci sentiamo inadeguati o difettosi perché la nostra vita è difficile, mentre quella di chiunque altro sembra procedere fantasticamente. E’ per questo che talvolta proviamo un senso di smarrimento quando chiediamo a qualcuno “come va?” e ci sentiamo rispondere “benissimo grazie!”. Ma siete davvero certi che le vite degli altri siano impeccabili e che magari non stiano tentando anche loro di nascondere ciò che non va?

Purtroppo, siccome la nostra natura ci porta costantemente a confrontarci continuamente con gli altri, queste sensazioni di inadeguatezza possono condizionare pesantemente la nostra vita e in alcuni casi possono portare anche alla depressione.

In sintesi, siamo biologicamente portati a ricordare con maggiore facilità gli eventi negativi e passiamo gran parte della nostra vita a rimproverarci sui nostri errori ed elencare ciò che ci manca per poter essere felici. Ma lo saremo mai se ci concentriamo solo su questi aspetti? Finché vivremo nelle nostre teste, persi in narrazioni riguardo al passato e al futuro e a confrontarci con gli altri, probabilmente continueremo a soffrire.

Cominciamo a vivere il presente!

Bibliografia:

Lambert C. (2007), The science of happiness: psychology explores humans at their best, Harvard Magazine, 109 (3), 26.

Siegel D. Ronald (2010), Qui e ora. Strategie quotidiane di minfulness, Erikson.