
Il rimuginio è una strategia che l’individuo adotta quando si trova innanzi a situazioni di difficoltà. Talvolta viene attivata per sentirsi più sicuri o per analizzare al meglio un problema ma tende a mantenere l’individuo in una condizione di ansia senza attuare un azione concreta per risolvere un problema (Sassaroli e Ruggiero, 2003).
Quando rimuginiamo ci ripetiamo mentalmente quali sono le cose che vanno male o che qualcosa di brutto potrebbe accadere da un momento all’altro, ma lo facciamo con assoluta mancanza di dettaglio. L’evento o gli eventi temuti rappresenterebbero per noi un danno irreparabile e diamo per scontato che, se si verificasse l’evento che temiamo, sarebbe un’immane tragedia. Inoltre, non siamo in grado di ipotizzare esiti alternativi, forse, meno catastrofici e magari più realistici.
Chi rimugina tende ad attribuire al rimuginare delle funzioni positive, degli scopi vantaggiosi. In questo modo rafforza il rimuginio e spiega a se stesso la sua tendenza a rimuginare.
Ma a cosa serve rimuginare?
Il primo scopo positivo attribuito al rimuginio è l’attenuazione di uno stato d’animo immediatamente sgradevole, ovvero l’ansia evocata dalle immagini mentali. L’attività rimuginativa riduce l’ansia ma non la “spegne” mai del tutto. Questa riduzione dell’ansia, però, ci dà l’impressione di riuscire a gestire l’ansia intensa che altre forme di pensiero immaginativo scatenano in noi.
In secondo luogo, il rimuginio può essere scambiato per una strategia efficace di risoluzione del problema. Molti pazienti, quando rimuginano, ritengono di stare affrontando il problema. In realtà, si tratta di un’illusione. Chi rimugina non raggiunge mai la soluzione del problema e continua ossessivamente a cercarla.
In altri casi, invece, chi rimugina giustifica il proprio rimuginio in maniera differente. Conosce perfettamente lo scarso valore risolutivo dei suoi pensieri ripetitivi ma ritiene che preoccuparsi “serva” a non farsi trovare impreparato davanti al pericolo e ritiene che mantenendosi sempre sufficientemente all’erta, soffrirà o si spaventerà di meno se l’evento da lui temuto dovesse realizzarsi.
Esistono poi pazienti che sviluppano convinzioni negative sul proprio rimuginio (Wells, 2000). Alcuni, infatti, ritengono di non avere alcun controllo sul proprio rimuginio e proprio per questo motivo temono che prima o poi impazziranno. Altri pazienti, invece, si svalutano fortemente per il fatto di rimuginare, si sentono in colpa perché il rimuginare è per loro una prova della propria debolezza.
Una funzione assolta spesso dal rimuginio è quella di “distrarre” il soggetto da emozioni o situazioni ben più pericolose e problematiche di quelle per le quali in realtà lui si sta preoccupando.
Interrompere il rimuginio è uno dei primi obiettivi della psicoterapia cognitivo-comportamentale dal momento che l’attività rimuginativa è un elemento che, il più delle volte, alimenta e mantiene in vita la sofferenza mentale. Il trattamento del rimuginio passa necessariamente attraverso la “ristrutturazione” delle convinzioni positive o negative che il paziente ha del rimuginio stesso e di sé in relazione all’attività rimuginativa. Con delle precise tecniche cognitive e comportamentali il terapeuta è in grado di “bloccare” i circoli viziosi del rimuginio e riportare il paziente e modalità cognitive ed emotive più funzionali e adattive.
Bibliografia
Borkovec, D. T., Inz, J. (1990), “The Nature of Worry in generalized anxiety disorders: a predominance of thought activity”. In Behaviour Research & Therapy, 28, 2.
Borkovec, D. T., Roemer L. (1995), “Perceived Function of worry among generalized anxiety disorder subject: distraction from more emotional topics?” In Journal of behavior therapy & Experimental Psychiatry, 26.
Sassaroli, S., & Ruggiero, G.M. (2003). La psicopatologia cognitiva del rimuginio (worry).
Sassaroli S., Lorenzini R., Ruggiero G.M. (2006), Psicoterapia Cognitiva dell’ansia, Raffello Cortina.
Wells A. (2000), Disturbi emozionali e metacognizione, Erickson.
Tratto da: http://www.milanopsicologo.it/rimuginio/