La Compassion Focused Therapy (Terapia Focalizzata sulla Compassione – CFT) è un approccio psicoterapeutico di recente diffusione che fa parte delle Psicoterapie Cognitivo Comportamentali Mindfulness-Based. La CFT è stata sviluppata dal Paul Gilbert, professore di psicologia presso l’Università di Derby nel Regno Unito, da anni impegnato nella ricerca scientifica sul senso di colpa, sulla vergogna e sull’autocritica, da egli ritenuti elementi centrali di molti disturbi psicologici, dalla depressione alle psicosi.
Il termine “compassione” deriva dalla parola latina compati che significa “soffrire con”. Probabilmente, la definizione più conosciuta è quella del Dalai Lama che ha definito la compassione come “una sensibilità verso la sofferenza di noi stessi e degli altri, unita a un profondo impegno nel tentare di alleviarla”.
Per i terapeuti, usare l’approccio focalizzato sulla compassione implica educare le persone a sviluppare tre tipi di compassione: l’auto-compassione, la compassione verso gli altri e l’apertura alla compassione da parte degli altri, in risposta alle avversità e alle situazioni minacciose. La compassione di sé permette di non considerare le performance come metro di valutazione del valore personale ma, discernendo la qualità delle prestazioni e mostrando motivazione a crescere, aiuterebbe a smussare gli aspetti nevrotici e dolorosi del perfezionismo, dove ciò che anima l’individuo è il terrore di fallire e di essere criticato piuttosto che la curiosità e il desiderio di migliorarsi. Quindi, un approccio più compassionevole aiuta a ridurre la vergogna e il senso di colpa spesso provati da coloro che sperimentano tratti perfezionistici.
La CFT nella pratica clinica utilizza tecniche Mindfulness, di immaginazione basata sulla compassione e tecniche finalizzate ad aumentare la tolleranza emozionale, a comprendere e fronteggiare i conflitti (con sé e gli altri) e gli stati emotivi complessi. La CFT risulta efficace nel trattamento del Disturbo Post Traumatico da Stress, delle psicosi, dei disturbi dell’umore, dei disturbi alimentari e del dolore cronico.
Cervello antico e cervello nuovo
Paul Gilbert, grazie ai contributi delle neuroscienze e delle teorie evoluzionistiche, fornisce una chiara spiegazione del cosiddetto “cervello antico”, che abbiamo in comune con tutti gli altri animali. Questo cervello è sede delle emozioni primarie, spinto da motivazioni basiche (protezione, nutrizione, accoppiamento, appartenenza al rango). Il “cervello nuovo”, invece, è la sede di tutti quei processi cognitivi superiori che ci consentono di pianificare, immaginare eventi futuri, concentrarci, ruminare, tutti aspetti che ci distinguono dai mammiferi. Ma questi ultimi aspetti, se non si imparano a ‘domare’ possono creare sofferenza nell’uomo. Infatti, molti problemi possono nascere dal modo in cui il cervello antico e nuovo interagiscono.
Ad esempio, le sensazioni corporee (come tachicardia, sudorazione, respiro affannoso, ecc.) quando si combinano alle abilità del cervello nuovo di pensare, ragionare e dare spiegazioni, possono portare alla conclusione che “se il mio battito cardiaco è aumentato allora vuol dire che sto per avere un attacco di cuore sto per morire”, generando verosimilmente un attacco di panico. Oppure ancora, il nostro modo di pensare “questo errore è il segno che sono un fallimento/non degno d’amore/senza un futuro”, può accentuare lo sconforto e produrre stati depressivi.
Gli animali ovviamente non si stressano pensando a come possono arrivare a fine mese, se sono abbastanza intelligenti o se quel dolore che sento è la possibile riprova di una malattia grave: questi sono tutti prodotti della nostra abilità di pensare mosse dalle nostre motivazioni (Wells, 2000).
Ecco perché le psicoterapie cognitivo-comportamentali di terza generazione pongono particolare attenzione all’insegnamento di tecniche di mindfulness: la persona può imparare a prendere consapevolezza della complessità della nostra mente, prestare attenzione al presente, in modo distaccato e non giudicante.
I sistemi di regolazione emotiva secondo la CFT
Quindi, alla base della CFT vi è l’ipotesi evoluzionista che nel cervello umano esistano tre sistemi cerebrali sottesi alla regolazione delle emozioni:
- Il sistema di minaccia e protezione: ha la funzione di individuare velocemente le minacce presenti nell’ambiente e di elicitare rapidi sentimenti di ansia, rabbia o disgusto che ci motivano ad agire prontamente per proteggerci dalla minaccia individuata. L’esito comportamentale di questo processo di regolazione emotiva può essere il fronteggiamento della minaccia, la fuga o la sottomissione.
- Il sistema di esplorazione e di ricerca delle risorse: ha la funzione di motivarci a cercare le risorse di cui necessitiamo (cibo, opportunità sessuali, nuovi territori, alleanze ecc..). Stimola pertanto emozioni positive ed energizzanti, ci fa desiderare di raggiungere nuovi obiettivi e ci consente di gioire dei successi e delle ricompense ottenute
- Il sistema di sicurezza: ha la funzione di promuovere i comportamenti sociali affiliativi, il senso di appartenenza, la capacità di instaurare relazioni interpersonali intime e si attiva quando sia uomini che animali non devono fronteggiare minacce o pericoli e, allo stesso tempo, hanno risorse sufficienti. Le emozioni offerte da questo sistema sono il senso di pace, di benessere e di tranquillità; uno stato di “non ricerca” che Gilbert ritiene possa essere sperimentato durante le prime esperienze di attaccamento con i propri genitori, a condizione che queste siano positive.
Secondo Paul Gilbert esperienze precoci di cura da parte di adulti affettuosi e responsivi stimolerebbero l’attivazione del sistema di sicurezza, mentre esperienze di abusi, negligenze o semplice trascuratezza ne ridurrebbero l’attivazione, in alcuni casi fino all’inaccessibilità. Da questa scarsa attivazione o inaccessibilità del sistema di sicurezza e benessere e dalla contemporanea attivazione eccessiva del sistema di minaccia e protezione deriverebbero quei livelli elevati di autocritica e vergogna da cui sono afflitti alcuni pazienti.
Quindi, la CFT offre una spiegazione della psicopatologia e del suo mantenimento basata sulle dinamiche di attivazione di alcuni sistemi di regolazione emotiva presenti nel nostro cervello e propone una visione del processo di cambiamento che si basa sulla modulazione di sistemi motivazionali e affettivi connessi all’attaccamento.
L’obiettivo principale della Compassion Focused Therapy è quindi il ripristino dell’equilibrio tra i tre sistemi di regolazione delle emozioni, ponendo particolare attenzione ai processi di autocritica, autosvalutazione e alle emozioni della vergogna e senso di colpa. Coloro che non hanno sperimentato sufficienti cure o comportamenti affiliativi da parte degli altri (significativi e non), hanno meno accesso al sistema di sicurezza o calmante. Spesso, in queste persone, le terapie classiche non sortiscono l’effetto desiderato perché non vengono “sentite”, nonostante venga capito razionalmente il problema che fa emergere la propria sofferenza. Per sentirsi in modo diverso è necessario avere l’abilità di accedere ai sistemi affettivi, caratterizzati da un certo assetto neurofisiologico, che danno origine a sensazioni di calma e sicurezza che solitamente la persona non riuscirebbe a sperimentare.
Bibliografia e approfondimenti:
Gilbert P. (2010). La terapia focalizzata sulla compassione” Edizione italiana a cura di Nicola Petrocchi. FrancoAngeli.
Gilbert P. e Choden (2014). Mindful Compassion. Come la scienza della compassione può aiutarti a comprendere le emozioni, vivere nel presente e sentirti connesso con gli altri. MINDhelp.
Compassionate Mind
https://www.istitutobeck.com/compassion-focused-therapy
https://www.stateofmind.it/2020/03/mindful-compassion-recensione/