
Come le credenze metacognitive alimentano il rimuginio e la ruminazione
Tra le domande più frequenti che un terapeuta cognitivo-comportamentale pone al paziente vi sono: “cosa pensi di te stesso per fatto di avere questo problema?” oppure “cosa pensi in generale delle persone che hanno questo problema?” oppure ancora “cosa pensi dei tuoi pensieri e come ti fanno sentire?”. Sia che il problema in questione riguardi una difficoltà di gestione dell’ansia, della rabbia, della tristezza o di qualsiasi altra emozione, dalle risposte a questi quesiti emergono sia le credenze generiche su di sé e gli altri e le autovalutazioni e giudizi rivolti a se stessi, sia quelle che vengono definite credenze metacognitive o metacredenze.
Le metacredenze sono molto importanti da analizzare insieme al paziente perché riflettono delle trappole di pensiero in cui la persona si “incastra” che generano rimuginii (preoccupazioni sul futuro) e ruminazioni (sul passato, tendenzialmente riguardanti la tristezza). Infatti, il pensiero ripetitivo fine a sé stesso incastra la persona in un circolo vizioso in cui l’unico esito è quelli di continuare a pensare in modo ridondante. Questa modalità di pensiero passivo e/o relativamente incontrollabile sottende emozioni diverse tra loro, come l’ansia, la rabbia, il senso di colpa, la vergogna e la tristezza.
Tali metacredenze possono avere sia natura positiva, quando si crede che rimuginio e ruminazione siano utili ad affrontare gli eventi disturbanti, sia negativa, quando ci si sofferma sulla pericolosità e l’incontrollabilità di rimuginio e ruminazione.
Ad esempio, il rimuginio è tanto più grave e difficile da eliminare quanto più la persona attribuisce ad esso significati positivi (metacredenze positive), come pensare che rimuginare aiuti a risolvere i problemi, prepari al peggio, riduca la probabilità che accada l’evento temuto. Tra le metacredenze del pensiero rimuginante più diffuse vi sono “Se mi preoccupo sarò capace di affrontare le difficoltà e/o a prevenire i problemi”; “Focalizzarmi sulla minaccia mi permette di sentirmi al sicuro”; “Devo contrastare i miei pensieri o commetterò un errore”. Quindi, spesso chi rimugina lo fa per sentirsi più sicuro o per analizzare al meglio un problema, ma queste credenze metacognitive legate all’utilità del rimuginio sono disfunzionali poiché mantengono la persona in una condizione di ansia e in una falsa percezione di risoluzione del problema stesso (Sassaroli & Ruggiero, 2003).
Al contrario, le metacredenze negative possono portarci a credere che alcuni pensieri siano incontrollabili, dannosi e pericolosi per la nostra salute, oppure che ci accadrà qualcosa di brutto a causa di pensieri che abbiamo avuto nella mente. Le metacredenze più frequenti che riguardano l’ansia, ad esempio, possono essere: “Non ho il controllo sui miei pensieri”, “Le mie preoccupazioni sono incontrollabili”, “Se sono in ansia, allora sono davvero in pericolo”, “Se continuo a preoccuparmi diventerò pazzo o mi ammalerò”, ecc.
Imparare a ridimensionare e gestire le proprie metacredenze risulta molto importante ai fini della riduzione degli stati emotivi di sofferenza.
Bibiografia:
Adrian Wells (2018). Terapia metacognitiva dei disturbi d’ansia e della depressione edito da Erickson.
Sassaroli, S & Ruggiero, G.M. (2003). Psicopatologia cognitiva del rimuginio. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 9, 31-45.