La colpa è un concetto di natura prevalentemente giuridica o morale: in senso giuridico, il termine si riferisce ad azioni o a omissioni che producono (o potrebbero produrre) danno agli altri. Il senso di colpa è invece un concetto di natura psicologica: è la sensazione soggettiva, solitamente dolorosa, di essere immorale e riprovevole a causa di proprie azioni o caratteristiche.
Il senso di colpa, così come la vergogna e l’imbarazzo, sono state definite da alcuni autori come “emozioni dell’autoconsapevolezza” (Tangney e Fischer 1995) perché comportano un autoriferimento (un giudizio su di sé, un’assunzione di responsabilità). Vengono anche considerate “emozioni sociali” (Barrett, 1995), in quanto richiedono necessariamente un riferimento non solo a sé ma anche al giudizio degli altri – al danno loro arrecato – o a norme trasgredite.
Il senso di colpa è solitamente messo in relazione con la credenza di aver danneggiato qualcuno o violato qualche norma sociale o imperativo morale: è quindi un’emozione sociale in quanto, sia il danno sia la trasgressione sono eventi sociali. La natura sociale del senso di colpa traspare anche dalle azioni tipicamente indotte da questa emozione. Si tratta, infatti, di azioni sociali volte a rinstaurare sia l’equilibrio di potere tra sé e la propria vittima, sia la norma stessa, riconoscendo la colpa e accettando l’eventuale punizione.
Castelfranchi et al. (2002), pur riconoscendo che “essere colpevole” non sia un’emozione, considerano il senso di colpa è un’emozione ben definita e individuano tre tipi di senso di colpa:
• il senso di colpa del colpevole verso una vittima;
• il senso di colpa per violazione di norme (senza vittima);
• Il senso di colpa dell’innocente che sa di esserlo (che provano ad esempio i sopravvissuti di eventi catastrofici).
Gli autori riportano tre componenti cognitive necessarie a questa emozione:
1) La valutazione negativa del proprio comportamento o anche della sola intenzione. Esistono due classi generali di questo tipo di valutazioni negative: di inadeguatezza, quando ci si valuta dotati di potere insufficiente rispetto ad uno scopo (che porta all’emozione della vergogna) e di dannosità o cattiveria, quando invece ci si valuta dotati di potere negativo rispetto ad uno scopo.
2) L’assunzione di responsabilità. Perché ci si riconosca responsabili di un’azione è necessario assumere di averla causata direttamente o indirettamente, di avere avuto la volontà di causarla o quantomeno di avere avuto il potere di evitarla. Il ruolo preminente svolto dall’assunzione di responsabilità nel senso di colpa permette di spiegare alcune differenze tra quest’ultimo e la vergogna. La vergogna sembra implicare un atteggiamento più passivo e depressivo verso le proprie mancanze che sono percepite fuori dal proprio controllo, mentre il senso di colpa appare caratterizzato da un orientamento “attivo” e “riparativo”. Il potere negativo, le disposizioni ostili e il comportamento danneggiante sono, infatti, ritenuti controllabili e modificabili. Della propria bruttezza o dei propri handicap ci si può vergognare, ma difficilmente ci si sente in colpa, mentre si tende a provare senso di colpa, piuttosto che vergogna, per le proprie inclinazioni e i propri comportamenti “cattivi”.
3) L’abbassamento dell’autostima morale. Ciò equivale a dire che la valutazione negativa del proprio comportamento deve implicare una valutazione negativa di se stessi in quanto artefici di tale comportamento.
Secondo Castelfranchi et al. (2002), gli elementi fin qui esaminati sono i costituenti necessari del senso di
colpa, ma ve ne sono altri due fortemente ricorrenti e associati al senso di colpa: l’identificazione con la
vittima e lo scopo di riparare.
• L’identificazione con la vittima favorisce il riconoscimento del danno arrecato e delle sua entità. Chi si sente in colpa spesso soffre con la propria vittima e soffre per il dolore che le ha causato. Inoltre, adottando la prospettiva della vittima, il colpevole prende atto della propria colpa e può quindi “sentirsi in colpa”.
• Lo scopo di riparare può essere visto da un lato come una tendenza all’azione provocata dal senso di colpa (poiché è anche un modo per mitigare il senso di colpa); dall’altro come una vera e propria costituente di tale emozione.
Le strategie utilizzate per difendersi dal senso di colpa hanno come bersagli le varie componenti dell’emozione stessa e consistono:
• nello sgravarsi delle responsabilità, dicendosi ad esempio frasi come: “non potevo evitarlo”, “non volevo che accadesse”, “non sono stato solo io”, che agiscono sull’assunzione di responsabilità;
• nell’enfatizzare la responsabilità causale del colpevole, dicendosi ad esempio: “è giusto, se l’è meritato” (la vittima viene vista come corresponsabile – “se l’è andata a cercare”). Ciò può anche ridimensionare la valutazione negativa di se stessi (un danno arrecato a chi se lo merita, per quanto grave, macchia di una colpa più lieve);
• nel minimizzare il danno cercando di ridimensionare la valutazione negativa del proprio comportamento (ad esempio minimizzandone le conseguenze negative o trovando conseguenze positive delle proprie azioni); nel dare realizzazione agli scopi del senso di colpa (ad esempio andando ad aiutare l’altro).
• Infine nel trasformare il senso di colpa in un’altra emozione (ad esempio da colpa a pena).
Bibliografia:
“Sensi di colpa. Aspetti cognitivi, affettivi e relazionali” di Cristiano Castelfranchi, Rita D’Amico, Isabella Poggi, 1994.
“Costituenti cognitive di invidia, vergogna e senso di colpa associate alla gravità della psicopatologia”. Rossi et al. 2011.