L’invidia è una delle emozioni più mal viste nella nostra società, più dell’odio e della vendetta. L’invidia logora l’invidioso dall’interno della mente, è un male che ci si autoinfligge e non si manifesta all’esterno. L’invidia, quella vera, è dipinta come il peggiore dei peccati capitali: infatti, mentre ci si può “vantare” per tutti gli altri sei vizi, di certo non si sarà mai orgogliosi della propria invidia.
Secondo la “teoria degli scopi” di Castelfranchi (2000), l’invidia è un sentimento di malanimo nei confronti di un’altra persona o un gruppo di persone. Chi invidia, pensa che tali persone possiedano qualcosa che il soggetto in questione crede di non possedere.
L’invidia è un’emozione complessa che chiama in causa scopi generali.
Uno di essi è il potere. L’invidioso, infatti, si confronta con un’altra persona che ritiene “avere maggior potere” di lui. Tale confronto chiama in causa uno scopo ulteriore che consiste nel “avere più potere di” o almeno “non avere meno potere di” qualcun altro, rispetto a uno scopo. È proprio il mancato raggiungimento di quest’ultimo scopo che scatena il sentimento dell’invidia.
Altri scopi coinvolti nell’invidia risultano essere quelli dell’immagine di sé. Riuscire ad avere più potere di un altro garantisce il mantenimento di una buona immagine e rende la persona più ricercata e di valore. Una persona tenderà ad invidiare maggiormente chi ha raggiunto scopi relativi all’immagine riferiti a ciò per cui egli/ella stessa vorrebbe essere apprezzato e ammirato (es. un’artista nel riconoscimento della critica) . Inoltre, per avere una buona immagine di sé la persona non si accontenta solo di valutare se è in grado o meno di raggiungere un certo scopo, ma considera anche se ha meno, altrettanto o più potere degli altri nel raggiungerlo.
L’invidioso non ha lo scopo attivo di danneggiare l’altro direttamente, ma “si augura” il male dell’altro. Questo perché non è stato danneggiato attivamente e quindi non può agire attivamente e apertamente, anche perché la società condanna l’invidia. Le società, infatti, generalmente tendono a scoraggiare gli atti ostili per conservare il patrimonio sociale. Al posto degli atti ostili le società favoriscono il risarcimento (che tende a compensare più che ad abbassare).
Si possono riconoscere anche delle “ragioni” all’invidioso. Il ragionamento sotteso a quest’emozione potrebbe essere: “Lui mi toglie autostima, perché se lui è sopra, io sono sotto nella gerarchia sociale”. Dal suo punto di vista quindi l’invidioso non ha tutti i torti. A questo riguardo infatti, neanche l’esibizione della superiorità è tollerata dalla società, perché sottolinea attivamente l’inferiorità dell’altro.
Come da altre emozioni spiacevoli, anche dall’invidia ci si difende, perché provare e manifestare invidia è un’ammissione di impotenza e di “ignobiltà d’animo”. Queste difese possono prendere tre strade: le prime due mirano a negare di provare invidia, mentre la terza tende ad eliminare il malanimo stesso:
- Ri-direzionare il malanimo trovando per esso degli oggetti più degni. Ciò comporta una ri-categorizzazione dell’invidia nei termini di qualche emozione più nobile. In questo caso il soggetto non vuole riconoscerla, cerca di classificarla come un’altra emozione. L’invidia si può mascherare ad esempio con la gelosia o con il senso di ingiustizia che sono sentimenti più nobili (l’altro mi ha tolto qualcosa che era mio).
- Portare ragioni a sostegno del fatto che l’altro non è invidiabile, vuoi perché lo scopo rispetto a cui avviene il confronto non è importante, vuoi perché implica effetti collaterali negativi (una promozione ad esempio implica anche maggiori responsabilità).
- Cercare di contrastarla con sentimenti incompatibili od opposti con essa. Si può provare ad esempio a sentire affetto per chi si invidia.
Potremmo, infine, chiederci che scopo assolva l’invidia a livello evoluzionistico. Un’ipotesi potrebbe essere quella che quest’emozione serva da “campanello d’allarme” che dice al soggetto: “Attenzione, sei inferiore, fai qualcosa, muoviti!”. Allo stesso tempo però l’invidia appare come un sentimento passivizzante, che paralizza.
BIBLIOGRAFIA
“Costituenti cognitive di invidia, vergogna e senso di colpa associate alla gravità della psicopatologia”. Rossi et al. 2011.
“Fondamenti di cognitivismo clinico”. Castelfranchi C., Mancini F., Miceli M. 2002, Bollati Boringhieri.